L’Autostima è l’apprezzamento favorevole che un soggetto ha di sé stesso.
Come si manifesta
Quello che potremmo definire il “livello ideale” di autostima si ha quando la nostra “stima” (nel senso proprio di “valutazione”) di noi stessi, ha una buona corrispondenza con le effettive nostre qualità, positive o negative che siano; quando cioè conosciamo, e riconosciamo, con sufficiente obiettività e serenità, sia i nostri pregi che i nostri difetti.
Questa è la situazione che ci consente, da una parte, di utilizzare al meglio e sviluppare le nostre qualità positive, e dall’altra, di analizzare in maniera approfondita sulle nostre caratteristiche “scomode” per evitare che influiscano negativamente sulla nostra vita e le nostre attività.
Da questa situazione ideale, ci possiamo allontanare in due direzioni opposte, che risultano entrambe (prima o dopo) fonte di notevoli complicazioni sul piano esistenziale: la sopravvalutazione e la sottostima o disistima di sé stessi, del proprio valore e delle proprie capacità.
Come si origina
Per quanto apparentemente opposte, la tendenza alla sopravvalutazione di sé (fino all’estremo limite del cosiddetto senso di “onnipotenza”, che ci fa sentire e comportare come se noi potessimo permetterci di fare e di sopportare qualunque cosa, senza pagare alcun prezzo o subire alcun danno) e la tendenza alla sottostima di sé (in cui le nostre capacità ed il nostro valore di persona possono venire negate fino all’estrema sensazione di non essere capaci di fare nulla di buono o di interessante e di non valere proprio nulla) originano da una analoga situazione problematica: per qualche ragione, uno o entrambi i nostri genitori (o figure/contesti di riferimento), non sono riusciti a svolgere in modo sufficientemente efficace il compito di “rispecchiarci” la nostra propria, specifica natura, con i nostri propri desideri, bisogni, emozioni…..dandoci nel contempo la certezza di essere accettati ed amati così come siamo.
Naturalmente, per poter fare un “buon rispecchiamento”, il genitore deve essere capace, innanzitutto, di “vedere” e “riconoscere” il figlio per ciò che effettivamente è, e poi di accettare ed amare ciò che vede (anche se è diverso dal figlio che immaginava o che avrebbe voluto!).
Posto che tutti noi siamo portatori allo stesso tempo di fragilità ed “imperfezioni”, come anche di qualità e risorse, le leggi della vita psichica dicono che i punti deboli possono essere rinforzati (o, se si preferisce, i problemi del carattere possono essere risolti) solo se e quando vengono accettati, e che le fragilità odiate o negate trovano prima o poi il modo di “vendicarsi” (arrivando magari a “rompere le uova nel paniere” quando meno te lo aspetti); e quindi, ognuno può lavorare sui propri “difetti” solo se accetta di vederli e riesce a non “odiarli”, e può accettare facilmente le proprie fragilità, riuscendo ad amarsi così come è, solo se i suoi genitori sono riusciti a farlo prima di lui.
In effetti, l’immagine interna che abbiamo di noi stessi, risente fortissimamente dell’immagine che di noi si sono fatta (e ci hanno rispecchiato) i nostri genitori: di base, cioè, noi ci vediamo e ci sentiamo così come loro ci vedono e ci sentono, o ci hanno visto e sentito nei primi anni della nostra vita.
Se, per esempio, nostra madre ci ha sentito, da piccoli, “troppo richiedenti” (perché magari non riusciva ad avere abbastanza tempo e/o energie per occuparsi di noi), probabilmente noi ci sentiremo “troppo bisognosi” (quindi, più deboli degli altri), oppure “avidi/insaziabili” (quindi, egoisti e “cattivi”) e, spaventati da questa percezione (magari con qualche senso di colpa per aver “chiesto troppo”, e comunque “affamati” perché, in fin dei conti, non siamo stati nutriti secondo le nostre necessità), potremmo reagire costruendo una immagine interna di noi come esseri forti e “onnipotenti” (quelli che “non devono chiedere mai”, come dice il famoso spot pubblicitario che presenta un “irresistibile” Super-Uomo), mentre la penosa sensazione che abbiamo cercato di annullare attraverso questa operazione sopravvive (nascosta ma non inoperosa!) nel profondo di noi stessi.
Analogamente, se nostro padre, per esempio, ci vede decisamente (e dolorosamente per lui!) diverso da come ci voleva, o inadatto a compiere quelle “imprese” che si aspettava da noi (forse le stesse che lui non è riuscito a portare a termine, o quelle stesse che lui è stato magari forzato a perseguire…..), più o meno inconsapevolmente ci trasmetterà quella penosa sensazione di essere “inadeguato” in assoluto, e quindi di valere davvero assai poco, che qualche volta i figli esprimono con l’efficace quanto tristissima constatazione: “Ho l’impressione che i miei genitori mi abbiamo trovato in un cassonetto”.
Conseguenze sulla vita
Si può facilmente comprendere come la sovrastima di sé, accompagnata dall’incapacità di accettare i propri limiti ed errori, spinga facilmente le persone ad imbarcarsi in “imprese” in vario modo “eccezionali” e rischiose (quindi, potenzialmente fallimentari) e/o eccessivamente stressanti per il sistema psico-fisico (che, presto o tardi, perde il suo equilibrio e comincia a “pagare il prezzo” in termini di disturbi psicosomatici o dell’umore); ciò che si cerca in tali imprese è però così desiderabile da far passare in secondo piano ogni considerazione di realtà: un successo che, proprio per il suo carattere di “straordinarietà”, sia capace di confermare senz’ombra di dubbio una idea di sé “grandiosa”.
Al contrario, la bassa autostima ci blocca nell’azione e nella possibilità di utilizzare adeguatamente le nostre risorse, producendo la convinzione che, in generale, non ci sarà possibile ottenere buoni risultati se “osiamo” buttarci in imprese troppo al di sopra delle nostre possibilità (che, nel nostro immaginario, sono sempre tutte quelle più interessanti, o magari, proprio quelle che desidereremmo!), e quindi dovremo accontentarci del poco che crediamo di meritare, tanto a livello di realizzazione personale che di vita affettiva: finiremo quindi alle prese con un corso di studi o un lavoro che pochissimo o per nulla impegna le nostre possibilità espressive e creative, e ci legheremo a partner che ci amano poco o male, e/o che ci svalutano rimandandoci una immagine di noi stessi piena di mancanze e di difetti.
Come si sviluppa
Si potrebbe pensare che le alterazioni nel livello della stima di sé dovrebbero essere riequilibrate attraverso un accurato ed autogestito “esame di realtà”, che metta di volta in volta a confronto le “prestazioni” della persona con i risultati ottenuti, ricercando pazientemente le ragioni sia dei successi che degli insuccessi.
In realtà, questo è proprio ciò che non sanno fare le persone che vivono questo tipo di problema, le quali anzi, di solito, tendono inconsciamente a “selezionare” ed “utilizzare” le esperienze in modo tale da far sì che venga confermata l’immagine interna che hanno di loro stessi: se viviamo un pesante senso di svalutazione, e qualcuno ci dimostra grande ammirazione o stima, o ci affida un incarico di responsabilità (che presuppone una buona valutazione delle nostre capacità) entriamo in crisi, né più né meno come chi, sentendosi “onnipotente”, si vede trattato come “uno normale”.
Elettivamente, questo stato di cose può essere cambiato radicalmente attraverso una psicoterapia all’interno della quale la persona possa trovare nel terapeuta uno “specchio neutrale”, capace di vederla ed accettarla per come effettivamente è, rimandandole una immagine di sé intera, non censurata e non giudicata, ma serenamente esplorata e pian piano conosciuta, spiegata e valorizzata in ogni sua parte.
Psicoworking si avvale di professionisti, esperti nella valutazione e nella gestione di problematiche inerenti le conseguenze che la scarsa autostima può produrre nel lavoro nella vita sociale e personale delle persone. Se vuoi approfondire questi temi in un colloquio di consulenza, vai alla pagina del professionista più vicino alla tua zona (vedi mappa).
Bibliografia di base: Baumeister R. (1993), Self-Esteem , The Puzzle of Low Self Regard, Plenum Press, New York. -Ellis A., (1993), L’Autoterapia Razionale Emotiva, Centro Studi Erickson, Trento. -Giusti E. (1997), Autostima. Psicologia della sicurezza in se. Sovera Edizioni, Roma. -James W. (1991), Principles of psycology. Cambridge, MA, Harvard Univerdity Press. -Strocchi M.C., (2012), Autostima, se non ami te stesso., chi ti amerà? San Paolo Edizioni.