“Nessuna scienza è più vicina alla vita della Psicologia”, disse Aristolele e scrive David Lazzari, Presidente dell’Ordine Nazionale degli Psicologi nel suo recente articolo per questa Giornata Mondiale della Salute Mentale. Una memoria ed un monito al fatto che noi psicologi abbiamo tra le mani, sempre ed oggi in particolare, non solo “anima” ma anche “materia”.
Riprendendo il tema del mai superato dualismo tra mente e corpo, Lazzari trasla il paradigma rivoluzionario della fisica moderna e descrive la realtà umana, nostro continuo oggetto di studio, come realtà unitaria di psiche (nel linguaggio della fisica traducibile come “dimensione onda”) e soma (nello stesso linguaggio come “dimensione particella”).
In questa esperienza di pandemia, dove la dimensione corporea sembra la più coinvolta dalle conseguenze della malattia, non dobbiamo infatti dimenticare che la cura (intesa non solo come una riparazione di malfunzionamento) passa inevitabilmente per la presa in carico complessiva della persona, e non correre il rischio di pensare gli interventi come diretti a meri “organismi” o “agglomerati di cellule”, piuttosto che a unità complesse ed uniche con caratteristiche bio-psico-sociali che si intersecano continuamente con quelle altrui.
Ci chiediamo quindi, sui grandi numeri della pandemia, quelli a cui purtroppo ci stanno abituando quotidianamente i tristi resoconti dei mass media, come sia possibile pensare interventi di presa in carico adeguata, vista l’assenza di una rete di professionisti della salute psicologica inserita in modo capillare e gratuito, nel sistema sanitario nazionale? Pensiamo a chi vive o ha vissuto gli effetti pesanti del contagio o della quarantena, la perdita di un caro, l’impossibilità di contattare le figure parentali, le difficoltà di un lavoro da casa o dell’isolamento sociale e di tutte quelle situazioni emotive di stress che questa nuova ed imprevedibile situazione ha prodotto.
A noi psicologi sembra evidente da tempo quello che David Lazzari denuncia come miopia sociale, la tendenza cioè a vedere gli individui prevalentemente come consumatori di beni materiali e meno come unità di bisogni bio-psico-sociali (che certamente quei consumi condizionano), ma non ne delineano la complessità: il rischio, nelle situazioni di emergenza, è di avere urgenza di “riparare” per far “funzionare meglio” piuttosto che porre le condizioni per “esistere meglio”…