Neglet ed abuso: le forme del trauma
Lo sviluppo della personalità e dell’identità negli esseri umani dipende dalla prospettiva e dallo stile di cura che il bambino riceve dalle sue figure dell’attaccamento. La cura di sé ha origine nelle azioni di cura ricevute da parte dei primi altri significativi per noi (genitori, care givers, nonni, insegnanti, amici) e tali azioni, imitate ed internalizzate, renderebbero ciascuno di noi in grado di prendersi cura di sè stesso. Naturalmente è possibile che i caregivers falliscano nel fornire il necessario rispecchiamento, il modello salutare e la validazione dell’esperienza. In questi casi, le conseguenze sono diverse da quelle del maltrattamento attivo, inteso questo come una azione di maltrattamento o abuso conclamata, ma sia il neglect che l’abuso conclamato, finiscono per colpire colpiscono l’immagine che la persona costruisce di sé, il suo sentimento ed atteggiamento verso se stesso, i comportamenti che assume nei confronti degli altri.
Il neglect precoce così come il trauma conclamato, disturbano fortemente il modo in cui le persone imparano a prendersi cura di se stesse. I pazienti che crescono in ambienti incuranti e abusanti, non hanno dei modelli di cura del sé internalizzato (*Chu, 1998; Ryle, 2002) specie se nessuno gli ha insegnato i comportamenti e gli atteggiamenti che portano a sentimenti di stima (autostima).
Poiché i bambini piccoli non conoscono i propri bisogni, ma li provano e basta, dovrebbero ricevere dal proprio caregiver la definizione e legittimazione dei propri bisogni : in questo processo di rispecchiamento, il bambino impara a riconoscerli (per es. “Sei solo stanco e hai bisogno di riposarti” quando il bambino piange per la stanchezza) identificarli e valutare comportamenti adatti per gestirli. Quando il caregiver non è attento (o non è in grado) e non riesce ad entrare in sintonia o non è capace di riconoscere i bisogni del bambino, questo processo di riconoscimento, gestione e normalizzazione fallisce. Producendo effetti profondi sul bambino e sul futuro adulto.
Per le caratteristiche di quel caregiver o della cultura di quella specifica famiglia, il neglect si sviluppa con alcuni bisogni e non con altri (si ai bisogni materiali, no a quelli emotivi) , oppure nei confronti di bisogni specifici che vengono negati ( bisogno per l’espressione emotiva e la sua trasmissione possono essere represse dal caregiver): il bambino impara ad ignorare specifiche parti di sé che poi non è facile reintegrare. Molte vittime di grave abuso emotivo e di neglect imparano ad ignorare le proprie emozioni e bisogni: Alcuni pensano persino di non averne nessuno, o che non c’è nulla che possano fare per soddisfarli, specialmente se vivono in contesti politraumatizzanti (es.famiglia abusante in zone di degrado o di guerra). Gli effetti del “sentirsi invisibile”, non visto, e trascurato hanno un profondo impatto sul bambino e sul futuro adulto. I bambini che hanno imparato a disattivare le risposte automatiche non sviluppano le abilità di base come la coregolamentazione, la regolazione emotiva, e la cura di sé.
Dall’altra parte, alcuni bambini cercano di essere invisibili per evitare il maltrattamento: in alcuni casi, i bambini si adattano per sopravvivere cercando di essere invisibili per evitare il maltrattamento o l’abuso, alimentando forme interne di conflitto tra alcune loro parti che vorrebbero essere viste disperatamente, altre sanno che non è sicuro e non lo permetteranno. Questi apprendono che i loro bisogni non sono importanti ed imparano a tenersi tutto dentro: da adulti possono presentare un aspetto apparentemente normale, ma persino quando identificano i bisogni e vorrebbero esprimerli, potrebbero tendere a ripetere ciò che hanno imparato, cioè ignorarli. D’altro canto, essere visti per la prima volta può avere un profondo impatto su di loro a tal punto che potrebbero minimizzare i comportamenti negativi o i rischi per “averne di più” (comportamenti antisociali).
Trauma e disturbi alimentari
Numerosi studi dimostrano che eventi ambientali traumatici possono aumentare il rischio di un comportamento alimentare disturbato (*Connors e Morse, 1993). Riguardo i traumi da attaccamento deficitario, gli studi sul trauma precoce tendono a far risalire difficoltà nell’autocontrollo e nella regolazione degli impulsi (tipiche della bulimia e del binge eating), a modelli di attaccamento disfunzionali, esperienze abbandoniche e neglet grave da parte del care giver.
Sembra che precoci esperienze avverse, possano indurre nei pazienti, insufficienti capacità di riconoscimento e mentalizzazione riguardo i propri stati emotivi, fobie, ridotto funzionamento del sistema di attaccamento, iper-reattività all’abbandono percepito o ad altri segnali di minaccia, ridotto sistema di esplorazione verso il mondo emotivo ed affettivo, ristretta finestra di tolleranza all’attivazione emotiva: tutti aspetti fortemente predittivi dei pattern bulimico/anoressico.
Parlando di maltrattamento ed abuso, in uno studio del 2012 (*Roenholt et al.) l’abuso emotivo era risultato associato in maniera più specifica alla categoria del sottopeso mentre l’abuso sessuale a quella del sovrappeso/obesità. L’abuso sessuale è più comune tra le donne con anoressia (23%) che tra quelle senza un disturbo dell’alimentazione (7%) (*Pallister e Waller, 2008).
Altri autori di area psicodinamica (*Kong e Bernstein 2009) hanno constatato che l’abuso emotivo, la trascuratezza da parte del caregiver nei confronti del figlio e l’abuso sessuale sono fattori predittivi della psicopatologia alimentare. Gli autori hanno inoltre scoperto che la depressione correla con un trauma infantile e la presenza di psicopatologia alimentare. La bulimia nervosa si è riscontrata 2.5 volte più frequente tra le ragazze che avevano riportato un episodio di abuso sessuale infantile e 4.9 volte più frequente in quelle che riferivano due o più episodi subiti, rispetto alle ragazze che non avevano riferito alcun episodio (*Sanci et al., 2008). Il 31% di donne con binge-eating, inoltre, è stato oggetto di abusi sessuali durante l’infanzia (*Becker & Grilo, 2011). Sembrerebbe che il binge-eating dopo il trauma possa essere considerato il tentativo di regolare stati interni intollerabili e conflitti che emergono quando i pazienti tentano di appagare i bisogni relazionali negati. Il binge-eating, poi, consentirebbe una focalizzazione sul presente, allo scopo di evitare vissuti di ansia/depressione legati alla vita reale. Altri autori hanno notato che una restrizione dietetica eccessiva può svilupparsi in relazione a un trauma in quanto il controllo del peso può compensare il senso di perdita di controllo e riduce sentimenti d’impotenza e di vittimizzazione causati dal trauma subito ( *McFarlane, et al 1988).
In ottica cognitivo comportamentale, *Fairburn, Shafran e Cooper (1999) sostengono che gli individui restringono l’alimentazione per compensare l’esperienza della perdita traumatica del controllo in altre aree della loro vita. Queste funzioni supportano la teoria più generale che seguire una dieta possa funzionare come strategia di evitamento nei confronti di pensieri negativi indesiderati e dai vissuti pesanti seguiti all’esposizione ad un trauma. Studi recenti confermano che anche incidenti e lutti possono essere considerati fattori predittivi per lo sviluppo di una psicopatologia alimentare ( *Backholm, Isomaa e Birgegård 2013).
Strategie di intervento
La maggiorparte degli studi sulla eziologia del disturbo alimentare trova nelle ferite dell’infanzia la ragione del disagio psichico rivolto sul comportamento alimentare: laddove non si possa individuare un trauma evidente nell’attaccamento, è utile concentrarsi sul cosiddetto trauma occulto, quello più sottile, che riguarda più da vicino il modo invisibile: neglet, iperprotezione, ipercontrollo, inversioni dei ruoli sono pattern presenti nelle dinamiche delle famiglia in cui si producono questo tipo di disagi.
Secondo un’a visione simbolica integrata sembra importante separare il sintomo alimentare dall’analisi del suo mondo interno: con cautela e rispetto è infatti necessario accedere agli aspetti della personalità più nascosti e tenuti in ombra proprio dalla macroscopica evidenza del disturbo. Il modo in cui si usa il cibo è nella maggior parte dei casi una strategia per attenuare il disagio prodotto dal trauma, spesso sottile ed occulto, a volte complesso, cioè stratificato attraverso diversi livelli di trauma. L’alimentazione paradossale, per esempio quella restrittiva delle anoressiche, indica il modo in cui i pazienti usano il cibo come una sorta di “base sicura” che costruiscono per trovare un ristoro dall’angoscia che il trauma evoca. In altri casi (come nella bulimia e nell’obesità) l’attenzione al cibo può rappresentare, in una visione dissociativa, una fantasia compensatoria o risolutiva, a volte appagante a volte di stordimento, solo apparentemente risolutiva di conflitti e disagi interni. L’individuo traumatizzato può usare il cibo (esattamente come in altre forme di addiction) come una chiave per disconnettersi dal trauma e l’abbuffata o la restrizione funzionano come apparente base sicura che tranquillizza da qualcosa di insopportabile , impossibile da affrontare.
E’ per questo che il primo livello di intervento è conoscere e comprendere il tipo di impatto che esperienze precoci disadattive, più o meno evidenti, hanno avuto sulla persona con disturbo alimentare.
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