La situazione che tutti noi stiamo vivendo in questi giorni, per la pandemia causata dal virus Covid-19, rappresenta senz’altro un fatto unico e senza precedenti per la misura della diffusione del contagio, la velocità del fenomeno, l’impatto dei mezzi di informazione sul fenomeno stesso e naturalmente per l’effetto che questo sta avendo ed avrà in futuro sulle nostre menti e sui sistemi di interazione.
Un fatto epocale che impatta sulle persone e sulle comunità come un vero evento traumatico e che rientra certamente nei fenomeni studiati dalla psicologia dell’emergenza.
Piccoli e grandi traumi
In psicologia si riconoscono “piccoli traumi”, quelli con la “t” minuscola, ovvero le esperienze soggettivamente disturbanti, ma caratterizzate da una percezione di pericolo non particolarmente intensa (un’umiliazione subita, interazioni brusche con le persone significative durante l’infanzia), e “grandi traumi”, quelli con la “T” maiuscola, cioè tutti quegli eventi che minacciano l’integrità fisica propria o delle persone care, eventi personali o di grande portata (ad esempio incidenti, disastri naturali, violenze, abusi, epidemie, etc.)
Il Trauma è infatti un evento che, per le sue caratteristiche peculiari, dirompenti, inaspettate, risulta “non integrabile” nel sistema psichico preesistente e consolidato di una persona e appunto ne minaccia fortemente la coesione interna, attraverso possibili esperienze di frammentazione e disorganizzazione che si possono manifestare a livello fisico, emotivo, del pensiero e del comportamento.
Nella fase acuta dello stress che lo shock determina (fase di arousal), sono infatti possibili reazioni di disorganizzazione mentale, brividi, stordimento, pianto, nausea, tachicardia. A livello emotivo si può vivere una condizione di negazione, ottundimento, incredulità e dissociazione.
Possono manifestarsi stati di iperattività generale e percepire vissuti emotivi di rabbia, paura, tristezza, isolamento da quello che accade intorno e possibili sensazioni di sentirsi diverso, speciale, dotato di poteri superiori agli altri.
Reazioni fisiologiche ed emotive collegate ai primi momenti, a cui segue la fase dell’impatto emotivo, che può durare anche qualche settimana con tempi di elaborazione che variano da persona a persona.
A partire da questa descrizione, possiamo cercare di comprendere meglio alcuni dei fenomeni che ci stanno accadendo e le reazioni che noi stessi agiamo ed a cui assistiamo, sia a livello personale che sociale.
Shock e blocco mentale
Charcot, il neurologo francese che ad inizio novecento parlò per primo di trauma, coniò il termine Isteria Traumatica per descrivere la paralisi corporea, non dovuta a lesioni organiche, che poteva verificarsi dopo uno shock psichico.
Una sorta di paralisi isterica o quantomeno di “blocco mentale”, sembra quanto accaduto (e purtroppo occasionalmente ancora accade) a certe persone nelle prime ore a ridosso delle diffusione di notizie nefaste sui numerosi contagi nella Regione Veneto e Lombardia: per esempio continuare ad andare al cinema o incontrarsi per l’aperitivo nonostante da alcuni giorni i decreti imponessero di non farlo; ma anche l’immobilità decisionale di alcuni governi esteri, nell’insistere a rimandare scelte di isolamento o di chiusura di attività o eventi che avrebbero diffuso il contagio.
Non vi sembra un “blocco del pensiero” da parte del sistema, rispetto ad una sana necessità di adeguamento che gli eventi gravi ed imprevisti chiedevano di attuare?
Alcune volte, un’esperienza traumatica non integrata, può diventare “intrusiva” e venire continuamente reiterata con comportamenti coatti e disfunzionali, generando uno stato di iperattivazione come quella che ci porta ad essere compulsivamente attratti dalle innumerevoli notizie ed aggiornamenti tv, proposti spesso con modalità sensazionalistica ed autoalimentante; o che ci tiene a fare “zapping” tra una emittente e l’altra o a dover commentare a tutti i costi sui social, il post dell’ultima ora…
Altre volte sono i meccanismi di evitamento e di negazione, quelli che vengono attivati, per allontanare l’esperienza angosciosa dalla coscienza o per renderla ad essa più sostenibile: questo lo abbiamo visto nelle dichiarazioni di certe interviste, dove le persone colte in gruppo a brindare davanti al locale, vantavano una presunta “immunità” al virus in base alla loro origine geografica o alla forza del proprio carattere o del proprio credo. Ancora lo vediamo espresso da chi è semplicemente e pericolosamente “non interessato” al problema e quindi narcisisticamente orientato al solo proprio ed irrinunciabile benessere immediato.
In alcuni casi più gravi, l’esperienza traumatica, può rimanere “dissociata” dal resto dell’esperienza psichica, causando una vera sintomatologia dissociativa con effetti patologici di depersonalizzazione e/o derealizzazione, capaci di causare anche un totale distacco dalla realtà e dalle conseguenze dei propri atti. Questo succede nelle cosiddette sindromi post traumatiche, con effetti disfunzionali anche a lungo termine, spesso presenti nelle categorie di persone che sono esposte fortemente ed a lungo a situazioni fortemente stressanti (medici, infermieri, volontari, personale militare, poliziotti, carabinieri…) (vedi disturbo post traumatico da stress PTSD).
Un meccanismo difensivo di distacco dal reale, può essere la cosiddetta sindrome del Super Eroe che colpisce in questi giorni, molti tra medici ed infermieri o operatori dell’emergenza: l’esposizione ad eventi stressanti oltre il normale, li indurrebbe a trascurare i propri segnali di affaticamento e di resistenza nell’intento “eroico” di curare/salvare quanti più pazienti possibile, trascurando spesso la propria autotutela.
Meccanismi di negazione, spiegherebbero meglio alcuni comportamenti a livello di singolo individuo, come mai per esempio, nonostante le autorità ed i messaggi dell’informazione da giorni continuino a dirci di rimanere in casa, alcuni insistano per uscire e mantenere, nonostante tutto, le proprie vecchie abitudini.
E, su una dimensione di organizzazione, perché in Francia ci sia stato bisogno di una settimana per decidere di chiudere le scuole e limitare le uscite, anche in presenza di allarmanti notizie dall’Italia sul numero dei contagi dilaganti, causati proprio dalla prossimità delle persone.
Ed ancora, ci aiuta a capire come tanti si espongano al rischio di sanzioni anche gravi, piuttosto che rinunciare alla libertà di spostarsi da un luogo all’altro, senza reale necessità, nonostante le diverse disposizioni di legge.
Meccanismi di “difesa”?
Noi psicologi sappiamo che, simili meccanismi difensivi, basati sulla negazione, l’evitamento, o ancora la dissociazione, difendono apparentemente l’individuo (o il sistema) che li mette in atto, ma non lo proteggono davvero.
Sappiamo anche che le difese sono sempre espressione di fragilità: fragilità delle persone (o dei sistemi organizzativi) che si sentono sguarniti di fronte a qualcosa che percepiscono come una minaccia (in questo caso reale e quindi non prodotto dalle proprie proiezioni ansiose), considerata superiore alle proprie forze. E che le difese sono meccanismi psicologici funzionali alla sopravvivenza ed utili, se agite nel breve, medio termine.
Un buon uso della paura
Dopo il primo momento, in cui anche le reazioni istintive ci dicono di fuggire, attaccare o mimetizzarci, diventa infatti più utile fermarsi e prendere contatto con il livello emotivo e con la consapevolezza delle emozioni che sono alla base. Spesso si tratta di riconoscere la nostra paura che nel migliore dei casi, come indicatore di un pericolo, si rivela a suo modo un vantaggio: è grazie ad essa che riusciamo a metterci in salvo.
Metterci in salvo, in questo caso in quarantena, ci consente di pensare, di ragionare, di riflettere sulla reale minaccia e sulle reali possibilità di fronteggiarla e di gestirla (questa è la cosidetta fase di coping), sia come persone che come gruppi (e come Governi) e di scegliere strategie ed azioni che, nonostante il sacrificio richiesto, quanto più saranno valutate ed agite in piena consapevolezza, tanto più avranno probabilità di essere efficaci.
Sappiamo come la adeguata percezione della propria efficacia e del proprio senso di sé siano elementi cruciali nella motivazione ad affrontare imprese difficili, e si rivelano modulatori del possibile successo o insuccesso in quelle imprese.
Crisi ed opportunità
Avremo di fronte questa preziosissima occasione, seppur pagata a caru prezzo, in cui l’assunzione della piena consapevolezza di quanto accaduto, la disamina critica dei nostri valori, la ricerca del senso delle scelte fatte, può favorire l’accettazione della nostra vulnerabilità.
Presto potremo cominciare a pensare l’esperienza drammatica che stiamo vivendo, a rappresentarla dentro di noi, prendendone le distanze per cominciare ad elaborarla. Questo significa cercarne il senso ed utilizzarlo per crescere e maturare, fino a raggiungere, proprio come dopo un lutto o una grave perdita di qualcosa di caro (le nostre vecchie vite o purtroppo le nostre persone amate), l’accettazione e la possibilità di convivere con tutto questo e poi superarlo.
In questo senso, in psicologia, si intende il senso evolutivo della crisi e della sofferenza che si può trasformare in un’occasione di cambiamento e di miglioramento di se stessi (come singoli e come comunità): tramite il vissuto consapevole del dolore si diventa strutturalmente più forti, anche di fronte ad eventi traumatici ed imprevedibili.
Certo le implicazioni che il fenomeno sta avendo sui singoli e sulle comunità sono solo in parte riconoscibili e misurabili al momento e molte delle conseguenze che ciò avrà sugli equilibri psichici e relazionali delle persone, come sugli assetti delle dinamiche sociali ed economici delle organizzazioni, sono ancora solo lontanamente immaginabili.
Il modo in cui questo evento traumatico agirà sui vissuti, sui pensieri, i comportamenti, gli stili comunicativi ed i mezzi usati per comunicare ed interagire, l’impatto sulle nostre scelte di vita dei prossimi mesi ed anni, sui nostri consumi, sarà di certo significativo per la nostra crescita evolutiva per le scelte da fare, come singoli e come umanità intera, oltre che infinitamente interessante come materia di studio dell’uomo e del suo pianeta.
Un grande augurio a tutti noi, ce la faremo!
di Alessandra D’Ippolito psicologa – psicoterapeuta
2 Comments
Salve dottoressa D’Ippolito ho appena letto il suo articolo ” Meccanismi psicologici in tempi di Coronavirus (Covid-19)” in cui Lei in modo magistrale ha sintetizzato uno spaccato della reale situazione sociale nell’attuale crisi pandemica. Al riguardo le chiedevo come affrontare le problematiche insorte a livello condominiale con persone affette da disturbo dissociativo e precisamente di persone che mostrano atteggiamento e comportamenti di negazione, quali mancato uso delle mascherine, sostare nei pianerottoli a dialogare animatamente ed invitare amici e parenti a casa propria per festeggiare i compleanni dei nipoti.
In attesa di un cortese riscontro si formulano distinti saluti.
Gentile Filippo, il tema che lei porta è evidentemente la conseguenza delle interazioni umane in un contesto definito: ognuno porterà la propria individualità, tipica, complessa, fragile e a volte anche sofferente. La condizione del disagio e della disabilità di tipo psichiatrico, specie nei mesi della pandemia e della post pandemia, è spesso stata accentuata dalle restrizioni e dalla perdita delle routine e dei supporti che prima erano messi (a volte faticosamente) a disposizione loro e delle loro famiglie, dal SSN.
Quello che tutti abbiamo vissuto con difficoltà, chi ha un disagio psichiatrico, può averlo subito con un ridotto contatto con la realtà, spaesamento, peggioramento dei sintomi.
Ciò detto esistono evidentemente le regole condivise e le leggi che proteggono tutti noi dal caos e dal pericolo, specie in casi come quello di una pandemia.
La conoscenza dell’altro, delle sue condizioni, dei suoi limiti, la possibilità di entrare in contatto con il mondo complesso che porta nei suoi gesti e comportamenti è in ogni caso sempre un passaggio fondamentale per poter costruire un ponte comunicativo e decodifica delle sue azioni. La conoscenza dell’altro permette il contatto ed attenua la naturale paura del “diverso” laddove “diverso” a volte significa “nemico”.
Nei piccoli contesti, quali quelli di un condominio, intesso esso come una vera e propria comunità, questo sarebbe più facile se si promuovesse una cultura della comunicazione e della conoscenza più che della conflittualità e dell’evitamento, strategia solo apparentemente più costosa ma concretamente più vantaggiosa nel medio lungo termine.
In ogni caso cerchiamo di mettere le persone al centro, non i problemi che portano. Questo di solito, porta fuori risorse più che limiti.
Cordiali saluti
PS. ci scusiamo per il ritardo nella risposta, il sito è stato fermo nel mese di agosto ed in ristrutturazione nel mese di settembre. grazie