L’attuale contesto storico-sociale offre una vasta gamma di privilegi sia ai genitori e sia ai figli, che un tempo non molto lontano (anche fin solo ad una decina di anni fa) non esistevano, o erano privilegi di pochi. Ad imperare e a dettare bisogni, esigenze e purtroppo sembra anche principi è la società; la società delle effimere mode del momento, principalmente veicolate dai mass-media. Seguendo questi nuovi dettami, e anche le accresciute disponibilità economiche rispetto al passato, visto che tra l’altro si hanno molti meno figli se non addirittura uno solo, sembra oggi scontato e necessario che bambini di 9/10 anni debbano possedere un cellulare o ancora, (e possiamo anche scendere nella fascia di età), possedere vestiti ed accessori di marca, giochi sempre nuovi e sempre più tecnologici. I bambini oggi sono impegnati a scuola, in corsi di vario genere dall’informatica ai corsi di lingue, impegnati in vari sport. Questi sono privilegi di cui i bambini possono godere, e non è certo mia intenzione criticarli in toto o asserire che sia necessario negarglieli; ma ci si può domandare se questi privilegi, se queste “comodità” offerte possano nascondere anche delle insidie dei rischi, delle “scomodità”.
Il bambino è il sovrano nella nuova famiglia, i cui genitori provvedono ad ogni sua esigenza, purché sia al passo con i tempi, sia come i suoi pari, ma questo bambino sovrano sembra non stare troppo comodo sul suo “trono”. La vita scandita da notevoli impegni fa si che sembri quella di un adulto; i piccoli si dividono fra queste attività scolastiche ed extra-scolastiche per tutta la settimana e hanno meno tempo per il gioco, quello spontaneo e libero fra coetanei, o con i membri della loro famiglia. Hanno meno tempo, meno opportunità per dare espressione alla loro naturale creatività e fantasia, considerando che anche i giochi di cui dispongono basta accenderli e fan tutto da soli. Non si deve più inventare, costruire, risolvere chiedendo magari in questo spazio del gioco, la cooperazione non solo dei loro coetanei, ma anche l’aiuto del genitore. Un bambino che da sovrano sembra diventare il capro-espiatorio in una vita che è strutturata per lui dai suoi genitori, che ne fanno un piccolo adulto-bambino. D’altro canto, neanche i genitori protesi non solo verso la prole, ma anche tesi alla loro realizzazione personale, non rinunciano a quanto offerto dalla società del benessere. Le madri, oltre ad essere sempre più impegnate nel mondo del lavoro, sono impegnate con la gestione domestica ma anche in varie attività come, palestra, corsi di vario genere, proprio come i loro figli. I padri si dividono tra il lavoro ed attività del tempo libero che svolgono o da soli o con i figli.
Allora mi chiedo a questo punto se rimane uno spazio alla condivisione familiare, che possa consolidarne l’appartenenza. Quanto questi nuovi imperativi possono creare confusione di ruoli ed influire sulle dinamiche familiari? Inoltre, ciò che si osserva oggi è anche la tendenza dell’adulto a voler mantenere lo status adolescenziale, ricorrendo ai modelli imposti dai media o dalla società in genere. Non c’è differenza ormai nell’abbigliamento, nei gusti musicali, nelle scelte degli interessi fra bambini, adolescenti e adulti. Tutto sembra creato per una sola età quella adolescenziale. Basta guardare la televisione ed accorgersi che vanno diminuendo i cosiddetti programmi per bambini, e che bambini/e guardano gli stessi telefilm degli adolescenti, accompagnati nella visione non dai genitori, ma dal bollino che consiglia al genitore se stare o meno con lui, delegando così al media la scelta del programma. Esiste il rischio di un’inversione di ruoli visto che i bambini vivono una vita da adulti e gli adulti sono impegnati a restare adolescenti?
Aggiungo infine, e non di certo per ordine di importanza il peso dell’attuale situazione di precarietà lavorativa e di disagio economico, che alimenta le difficoltà che la famiglia si trova oggi a dover fronteggiare per mantenere gli standard di vita che vengono imposti dai modelli esterni, quegli standard che solo fino a qualche anno fa apparivano consolidati.
Appare piuttosto evidente che la famiglia oggi viva un momento di fragilità e difficoltà su più livelli, e che deleghi sempre più al contesto sociale le quelle funzioni che l’hanno sempre caratterizzata, come ad esempio la trasmissione di modelli e di valori. Sembra quasi che l’imperativo dominante sia garantire un senso di benessere che passa attraverso il possesso o il consumo, mettendo invece in secondo piano il benessere psicologico e psicofisico della persona. Quest’ultimo è il compito principale della famiglia, quello che abbiamo visto essere sempre presente nelle diverse epoche storiche.
La famiglia occupa una posizione delicata ed importante nell’interscambio con l’ambiente esterno, e se oggi sembra che questo scambio non sia paritetico, la famiglia dovrebbe tornare ad essere la matrice di valori e di modelli che possono poi diffondersi nel contesto sociale.
Sarebbe opportuno riflettere sulla necessità che la famiglia si riappropri del suo ruolo, che torni ad essere come l’ha definita la Scabini (2003)[1] il luogo in cui sorgono responsabilità nei confronti dell’altro, sia esso il partner o il figlio.
Tali riflessioni dovrebbero essere, inoltre, doverose per gli operatori del settore, che dovrebbero essere in grado di leggere e accogliere i nuovi bisogni che emergono nelle famiglie, e nell’offrire a queste nuove possibilità di sostegno e di intervento.